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e Beatrice, sono Venere e le colombe, e il ramo d'oro, è la volontà impetrata di Dio, per la quale si può ciò che si vuole.

CANTO III.

v. 9. Lasciate ogni speranza voi che entrate. Virg. Aen. 1. 6. v. 126.

Facilis descensus Averni,

Sed revocare gradum, superasque evadere

Hoc opus, hic labor est.

ad auras

Vedi Anacr. Od. LIV. in fine. Oraz. II. XIV. 5. ec. ec.

v. 14. Quì si convien lasciare ogni sospetto. sino al v. 21. Virg. Aen. 1. 6. v. 260. Tuque invade viam, vaginaque eripe ferrum. Nunc animis opus, Aenea nunc pectore firmo.

Tantum effata, furens antro se immisit a

perto:

Ille ducem, haud timidis vadentem passibus, aequat.

v. 16.Noisem❜venuti al luogo ov'io t'ho detto. Semo si dice rettamente nell'indicat., come avvertiva il Caro, e siamo nel congiunt. così

avemo. e abbiamo; e quanto agli altri, diceva il Salvini, doversi scrivere veniamo e venghiamo, diciamo e dichiamo, teniamo e tenghiamo ec. i Provenzali dissero pure em o sem. Vidale di Bezoduno.

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Vey que sem aisi vengutz.

Vedi (o, ecco) a che semo così venuti.

v. 25. Diverse lingue, orribili favelle.

sino ai v. 27. Homer. Il. iv. v. 437. dice in questa sentenza

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Nec enim omnium erat idem clamor, nec

eadem vox, Sed lingua mista erat, è multis nempe locis convocati fuerant homines.

v. 34. Ed egli a me: questo misero modo. Badando al che è quel ch' io odo si potrebbe forse dire, che quì modo sta per quella misura, che i musici e i poeti solevano osservare cantando, o scrivendo. Allora il misero segnerà il modo per flebilissimo, e da cantilena, dirò così, di miserabili. Sarà in somma quel modo, da cui vennero in nostra lingua tante guise di favellare: a modo, con modo, commodo, commodamente, ammodato ec. ciò è misurato, a misura, preso anche per misura materiale, come usò Cornelio N.

là in Ificrate hastae modum duplicavit. di quì modello, mòdano ec.

v. 39. Nè fur fedeli a Dio, ma per sè fôro. Vediamo così forte e larga quì la o a differenza della o chiusa in foro sost. perchè v'è spento l'ue del fuerunt. Così accade sempre in nostra lingua, che ove era il dittongo latino, è pur lunga la vocale. È bello l'osservare in certi nostri Perfetti, come venne, ne' quali per compensare la e lunga latina, troviamo d'aver raddoppiata la n.

v.40.Cacciarli i Ciel per non esser men belli, No lo profondo Inferno gli riceve. Ab Orco non receptus dicevano i latini, come si vede nel Pseudolo v. 797. dello scellerato: quasichè nè pur la quiete de' morti fosse per lui, o i supplíci non sufficienti. Val. Max. IX. 21. Etiam apud inferos, si tamen illuc receptus est, quae meretur supplicia pendet. Ma quello che fa più al luogo, è un passo di Seneca nel 1. 1. Controv. 1. 1. Con. III. Incesta de saxo deiiciatur ove si legge = Et a superis deiecta, ab inferis non recepta; in cujus poenam saxum extruendum est = Chi leggesse le opere costui col pensiero di illustrar Dante, credo che ne avrebbe buon frutto.

di

v. 43. Ed io Maestro che è tanto greve. Questo greve per grave portato all'animo è pure de' Trovatori. Oggero.

Per vos belha douss' amía

Trag nueg e jorn greu martire.
Per voi bella dolce amica

Traggo notte e giorno greve martire.

v. 54. Che d'ogni posa mi pareva indegna. Credo indegna per indegnante, ciò è, sdegnante, quasi indignans. Mi passava pel capo un tempo, che fosse a leggersi

ogni ec. Tuttavolta questo uso dell'hed

pel

particip. mi fa bensì sovvenire quel luogo di Orazio nella 3. del 1.o

Nequicquam Deus abscidit

Prudens Oceano dissociabili
Terras....

v. 64. Questi sciaurati che mai non fur vivi. Lucr. 1. 3. v. 1059.

Mortua quoi vita est prope, jam vivo atque videnti. Aristotile interrogato, come si distinguessero idotti dagli indotti, rispose: come i vivi dai morti. Seneca (Ep. LV.) passando innanzi la villa ove dimorava l'ozioso Vazia soleva dire: Vatia hic situs est. Così finalmente

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in un testo di lingua, Sentenze morali ec. si legge Quegli è detto che vive, che virtuosamente vive, e chi altrimenti vive, si può dir morto Di quì sino alla fin del Canto pressochè tutto è Virgiliano, noterò a pena quello ch'è in maggior vista.

v. 80. Temendo nò il mio dir gli fosse grave. Di questo no, che fa le veci del ne lat. o come diremmo noi del che non, ne danno esempio i Trovatori. Bertrando dal Bornio - e ciò quanto allo scusare il che.

Peire Roys saup devinar

Al prim qu'el vi jove reyaus,
Que dis no seria pros ni maus,
E parec be al badalhar.

Pier Rosso seppe divinare

ecco il

Al primo, ch'elli vide giovine reale,
Che disse non sarebbe prode nè malo,
E parve bene allo sbadigliare.

parere per apparire come in Dante Qui si parrà la tua nobilitate

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v. 84. Gridando: Guai a voi anime prave. Mi fa sovvenire quella voce terribile, che doveva essere intollerabile ai Romani, ciò è vae victis, ricordata da Plauto nel Pseudolo, e narrata da Livio 1. v. 48. e da Floro. 1. I. 13.

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