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un po' pericolose, ne convengo, ma per un fegataccio co

me voi....

Non c'è bisogno di pigliar tanto in giro, risponde stizzito Bellerofonte; questa è la mano: e dopo avergliela quasi slogata dalla stretta che gli dette, s'allontanò a gran passi, come se avesse voluto inghiottire in un boccone le cinque parti del mondo.

E il Tiranno, soddisfatto, perchè credeva d'aver preso i due proverbiali piccioni alla stessa fava, badava a dire : « Va', va', biondino mio, che tu va' bene ! ».

Ma Bellerofonte andò bene davvero; andò anzi tanto bene (finchè non andò male !) che dopo aver superato tutte quelle terribili prove senza che gli si rizzasse neppure un capello, o arricciolasse un pelo, incominciò superbamente a gonfiarsi come la rana d' Esopo e diceva: «O`sta' a vedi veh, che ora ne fo una di mio che le sorpassa tutte! » E avendo architettato il suo bravo piano, rimuginava la maniera di mandarlo ad effetto.

Quand'eccoti (chi glie l'aveva detto?) si volta all' improvviso.... e che ti vede? L' Ippogrifo: una bestiaccia venuta da certi luoghi fuor della carta geografica, mezzo aquila e mezzo cavallo, alla quale gli fa: «fermati, o ti bru→ cio le cervella»; e quella, fermatasi, Bellerofonte gli salta in groppa e gli grida: Ih! E Bellerofonte e la bestia alata in un battibaleno son più su delle nuvole.

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Lo dicevo io grida Bellerofonte volando verso il sole che mi sarebbe riuscito, picchia e mena, di mangiar la pappa in capo all' Egioco Giove!» Ih! ih! ih! E batteva furiosamente i calcagni sulla pancia dell' Ippogrifo che risonava come un tamburo.

Ma un tafano.... proprio, pare impossibile, per via d'uno spregevole tafano che andò a ficcarsi un dito sotto la coda della bestia volante, questa, spiccata una coppia di calci alla traditora.... Giù precipitosamente a gambe ritte, il povero Bellerofonte, buca tutte le nuvole, finchè, battendo in terra l' inevitabile pattona, fa: Plumff! e non ci rimane neppur la polvere.

Il Lettore: Embè!

Voce (da dentro un macchione) dell'Omo Salvatico:

chè

Embè ? che cosa? Medita sul tafano, muso di micco, questa favola da ragazzi può far del bene anche a te!»

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BELLI GIOACCHINO (1791-1863).

Impiegato del Papa; commesso del deposito della carta bollata e da ultimo capo della corrispondenza nella Direzione del debito pubblico.

Scrisse, incoraggiato dal Porta, centinaia di sonetti romaneschi dove vuol rappresentare i costumi e i pensieri dei popolani di Roma e non risparmiò nè preti nè papi. Si scusava col dire che ricopiava i discorsi altrui, anche senza approvarli «Non casta scriveva a un'amico non religiosa talvolta, sebbene devota e superstiziosa, ap

parirà la materia e la forma; ma il popolo è questo; e questo io ricopio, non per dare un modello, ma sì una traduzione di cosa già esistente, e, più, lasciata senza miglioramento ». Scusa che persuade poco: perchè un credente non fa collezione di bestemmie e un casto di stampe oscene. Quando nel 1861 il principe Luigi Luciano Bonaparte voleva che voltasse in romanesco il Vangelo di San Matteo si rifiutò perchè, rispose, « questa lingua abietta e buffona.... appena riuscirebbe ad altro che ad una irriverenza verso i sacri volumi ».

Negli ultimi anni tornò alla religione e pensò anche di bruciare le sue poesie - molte delle quali scritte per schernire coloro che gli davano il pane.

BELLICO

Gli operosio agitati -nostri contemporanei non hanno abbastanza scherno e riso per i famosi monaci del Monte Athos che passan la vita, a quanto raccontano gli eroici esploratori, a guardarsi il bellico. Essi ammirano, invece, sotto il nome di «lions », di « conquistatori »>, di << hommes à femmes », di «Don Giovanni » ecc., tutti quei rivali del toro e del mandrillo che passan la vita a guardarsi un po' più giù del bellico.

BELLINI VINCENZO (1801-1835)

Scriveva il Tommaseo da Parigi al Capponi nel '35: << Il Bellini, gentil giovanetto, ma stupido come un sonatore, è morto in casa d'un inglese, della cui moglie od amica era amico. La calunnia, sempre stupida, lo dice avvelenato; dice che sessantamila franchi e' doveva avere, e non glie ne trovarono se non trentamila ». Quest'ultimo << si dice »> non era calunnia, nè il fatto che morisse del troppo corrisposto amore della signora Lewis. Così malamente finiva, a trentaquattr'anni soli, il divino musico della Norma: l'unico italiano, nel patetico, che pareggi Bee thoven.

BELLO

Si crede comunemente dai volgari che il bello sia l'an-. titesi del brutto.

Ma dov'è il taglio netto, io mi domando, fra l'uno e l'altro ?

Bello, dice anche il proverbio, è ciò che piace.

Del resto, chi saprebbe darci la regola infallibile per distinguere il bello dal brutto, il buono dal cattivo, il lecito dall' illecito ?

Il concetto di bello morale e di bello artistico varia col variare delle opinioni in proposito; di quelle stesse opinioni che, volere o non volere, trasformano continuamente la società.

Questo mondo, secondo le ultimissime conclusioni della filosofia e della scienza, è una ruota, un vortice, un x, un enigma.

Chi è che all'uomo moderno potrebbe dunque parlare, a questi lumi di luna, di verità immutabili, di dogmi?

Tutto cambia, nulla è certo; l'impossibile è possibile? il sogno è realtà? la realtà è sogno? l'uomo è vivo o è morto cammina con le mani? cammina coi piedi ? è lui che crea il mondo ? è il mondo che crea lui ?

Ciascuno può rispondere come vuole, perchè tutto è vero e, nello stesso tempo, tutto è falso.

Avete letto Einstein ?

Ecco finalmente il genio ch'era atteso dai nostri tempi! (Dal nostro collaboratore, anche filosofico, prof. Eliodoro Sofopanti).

BELLOC HILAIRE (1870)

Scrittore cattolico inglese - il migliore scrittore cattolico, con Chesterton, che abbia l'Inghilterra.

Ecco i titoli di alcune sue opere:

The historic Thames.

Esto perpetua.

The servile state.

The Path to Rome.

The French Revolution. - On Nothing.

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Nel Giornale dei fratelli Goncourt, scrive Adophe Retté, si racconta questo aneddoto, che noi dedichiamo ai cattolici chiocciole del nostro tempo:

« C'erano una volta due amici, Belloir e Dujonchet, che, essendosi ritirati dagli affari e vivendo in campagna, andavano a diporto, ogni giorno, conversando fra loro, lungo la via sassosa sulla quale sorgevano, l'una a fianco dell'altra, due casette d'aspetto diverso, ch'essi chiamavano le loro ville.

Belloir era un ateo più indurito d'un callo sull'alluce d'un vagabondo. Egli aveva frequentato per lungo tempo una Loggia presieduta da un velenoso salumaio il quale non finiva mai di ripetere che gli si desse fra le mani «la pretaglia », ed egli la metterebbe in gelatina. Belloir aveva letto e riletto le opere complete dei signori Homais, Ernest Renan, Victor Flachon, ed altri savi della stessa scuola. Infiammato di zelo per questi grandi geni, negava Dio rabbiosamente e non tralasciava di scuotere tutti i suoi argomenti materialistici sulla testa del suo compagno.

Dujonchet li subiva pazientemente. Inabile alla dialettica, si contentava di emettere, talvolta, qualche timido hem hem che avrebbe voluto esprimere delle vaghe restrizioni. Poichè lui, che credeva in Dio, si ricordava di aver provato una consolante infinita dolcezza derivatagli

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