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BYRON (LORD GEORGE) (1788-1824)

Strepitosamente famoso nella prima metà del secolo XIX. Oggi morto e polverizzato, sottoterra e nella memoria dei più.

Viceversa è quasi di moda (mercè Adolfo De' Bosis e la famosa cremazione viareggina) il suo amico e collega Shelley, non meno di lui nemico del Cristianesimo e più di lui cigno gentil della poesia romantica d'Albione.

Il nobile Byron che im baironeggiò parecchi italiani del tempo suo e fu letto e ammirato da moltissimi animali cacoleggenti dei due sessi, potè vantare, fra l'altro, dei precedenti familiari di questa fatta :

Ebbe un nonno maniaco furioso, misantropo e due volte omicida.

La prima volta bruciò tranquillamente le cervella al proprio cocchiere perchè si era fatto oltrepassare da una carrozza, la seconda uccise in duello, per una futile questione, un suo compagno di caccia.

Il padre di Byron rapì la moglie a un'amico, maltrattò a rovinò la sua, e dopo aver vissuto da pazzo e da farabutto, espatriò, commettendo per giunta un furto domestico e lasciando la famiglia nella miseria.

La madre del poeta, antipatica donna dal viso d'arpia, era anch'essa mezza pazza.

In certi momenti di furore si lacerava le vesti, calpestava i suoi cappelli, urlava come una Ecuba, scagliava contro il figlio qualunque oggetto le venisse alle mani e (poichè il piccolo Giorgio aveva una gamba leggermente più corta) lo chiamava, con disprezzo, « moccione zoppo ».

Un giorno, dopo un alterco terribile tra madre e figlio, andarono entrambi, separatamente, dal vicino farmacista con la segreta speranza di sapere se l'altro fosse stato a comprare un veleno per suicidarsi.

A scuola, il futuro poeta del Don Giovanni nutrì per qualcuno dei suoi compagni amicizie morbose che confinavano con l'erotismo.

Uscito dall' Università di Cambridge, andò a Londra, dove s' immerse in tutti i vizî e commise i peggiori eccessi. Poi venne in Italia. Prima, a Venezia s' introgolò fra gli

aristocratici sudiciumi della società galante; dopo, passato a Ravenna, si mise a fare il rivoluzionario, a esercitarsi nella pineta a tirar di pistola, e ad accogliere, in casa sua, col buffo mistero romantico di quei tempi, i così detti cospiratori.

Diceva d'aver «semplificato la sua politica fino al punto di farla consistere unicamente nel detestare a morte tutti i governi che esistono ».

Figuriamoci se questo « amico dell' Italia » non doveva piacere, con tali nobili sentimenti, ai piccoli cervelli scarruffati dei cospiratori italiani.

Francesco Domenico Guerrazzi, soprattutto (rètore famoso e avvocataccio grafomane, sebbene con moltissimo ingegno) fu il suo massimo imitatore ed evangelista.

Il baironismo, da noi, rappresentò la specie esotica della malattia romantica rivoluzionaria.

Piaceva questo inglese-antinglese, aristocratico e demagogo, mondano e pessimista, donnaiolo e presunto-infelice e nel contempo grande poeta esotico della Libertà decorata di rovine e di spettri al chiaro di luna, com'era indispensabile a quei tempi.

Lara, Manfredo, Il Giaurro, Il Pellegrinaggio del giovine Aroldo ecc. non potevan fare a meno, come si sente dai titoli, d'entusiasmare i lettori.

A volte (come per esempio, nel Corsaro) s'incontravano delle trombonate melodrammatiche come questa:

<< Zitti - Chi avanza, di là, sopra un nero corsiero ? Avvicinati, vile schiavo, e rispondi: Non son forse laggiù le Termopili ? ».

Ma questa è la parte involontariamente comica. La parte invece delittuosa ed infame è in tutti quei luoghi (come, per esempio, nell' intero Don Giovanni) dove si assaltano si scherniscono e si bestemmiano, dalla religione all'autorità, dalla morale alla famiglia, tutte le cose più sante.

Questo brutto diavolo calato dal Nord era antipatico come un viveur, e volgare e cattivo come un ubriaco d'acquavite.

Egli stesso dice: «Il vino e i liquori spiritosi mi rendono cupo e selvaggio fino alla ferocia ».

E il vino, i liquori, le donne e tutti e sette i peccati mortali erano le sue muse.

Fece, con le sue opere, certamente, meno male di Voltaire, perchè, tra veri lampi di genio, il grottesco, in lui, sopraffà quasi sempre l'arte e la poesia. Ma insomma fu un corrotto, un pazzo, un corruttore, un istrione estetizzante molto predannunziano e un disperato poseur della propria reale disperazione, alla quale fu condannato dalle colpe dei suoi padri e da un ostinato e frenetico ateismo.

Aveva dunque tutte le qualità (nonostante che i suoi poemi sian morti quasi con lui ed egli, invece che di spada, come vanitosamente desiderava, sia morto di febbre) per esser considerato, dal Guerrazzi e soci, vate ed eroe !

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