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sità) e i critici marci (marca mantice) son talmente fitti che di critici acerbi non son rimasti, in Italia, che i due, salvando, Salvatici.

ACHEI

Gli Achei dai belli schinieri dovevano essere gente molto manesca e disoccupata se ammazzarono e si fecero ammazzare dieci anni di fila per restituire a un marito poco spartano un'adultera invecchiata.

ACHERONTE

Il cav. Deifobo Luciferini, sfogliando l'enciclopedia popolare illustrata di Palmiro Premoli, ch'è la miniera inesauribile della sua cultura trangugiata in casa e deiettata fuori, imbattutosi nella parola Acheronte legge quanto

segue:

« Figlio del Sole e della Terra, fu cambiato in fiume e precipitato nell' inferno, per aver somministrato l'acqua ai Titani, quando dichiararono la guerra a Giove ».

Il cav. Deifobo, (la fronte appoggiata, mazzinianamente, sulla palma) dopo aver letto una seconda volta, per esser ben sicuro d'aver capito, così ragiona:

« Evidentemente si tratta d'una favola; ma insomma (bestemmia oscena tra due virgole) anche nel paganesimo, come nell'aborrita religione cattolica, si credeva, a quanto pare, in un Dio crudele e tirannico che per conservare il potere, puniva le più sante ribellioni (come questa dei Giganti i quali debbono aver rappresentato, senza dubbio, qualche cosa di simile ai nostri moderni giganti del Libero Pensiero) e sfogava perfino la sua rabbia contro il cittadino Acheronte, di nient'altro colpevole che d'aver compiuto un'opera altamente umanitaria.

Ma chi avrà messo in testa all'uomo (altra bestemmia) quest' idea ridicola (e fosse soltanto ridicola !) di Dio ? Forse la paura? Eh sì, non c'è dubbio, dev'essere stata proprio la paura: gli uomini d'una volta, essendo assolutamente ignoranti, dovevano essere, per conseguenza, immensamente paurosi. Quindi (mi par di vederli !) ad ogni stormir di fronda pelle d'oca. Figuriamoci, dunque,

quando sarà scoppiato il fulmine o avranno sentito battere il terremoto !

Tuttavia questi terrori infantili, da cui si sviluppò la lebbra religiosa, si riferiscono a tempi che si perdono nella nebbia dei medesimi; e, perciò, transeat !

Ma oggi! Come si spiega, oggi, (epiteto osceno alla Vergine), il fatto che ci sono ancora dei bigotti che parlano di «< timor di Dio » ?

Eppure bisogna farla finita con questo sconcio. E per farla finita davvero non c'è che il mezzo suggerito da quel grande di cui non ricordo più il nome: «Strozzare P'ultimo Papa.... ».

In quel momento, un rimbombo, un boato; e mentre nel pensatoio del cav. Deifobo tutto trema e traballa e qualche oggetto cade, il misero cavaliere, con gli occhi fuori dell'orbita, aggrappato al proprio tavolino follemente danzante, balbetta fuori di sè dal terrore: « Gesù mio! Gesù mi.... » e non finisce la parola, perchè invece d'esser lui a strozzare il Papa, una scossa di terremoto, più energica, gli strozza la sillaba in gola.

ACHILLE

«< Ogni uomo dice il professor Mediani ha il suo tallone d'Achille ». Con queste parole l'onorando titolare della cattedra di Luoghi Comuni dimostra una conoscenza egualmente profonda della saga ellenica e della natura

umana.

L'Omo Salvatico presenta qui un primo elenco di questi diversi talloni: Tallone dell'avaro: il portafoglio. Della moglie la fedeltà. Dello scrittore: la sintassi. Dell'ateo: il numero 13 e il sale versato. Del cattolico benpensante: la carità. Del deputato: la competenza. Del nazionalista : l'amor di patria. Del negoziante: l'onestà. Del borghese: l'aspirazione poetica. Del santo: l'orgoglio dell'umiltà.

Ci sono, infine, degli uomini che son tutti tallone, dai piedi fino alla cima del capo e questi sono abbandonati alla lancia di Achille, simbolo pagano della parola di Cristo perchè risana dove ha ferito.

ACHILLINI CLAUDIO (1574-1640)

Povero Achillini! Tutti lo conoscono soltanto per quel famoso sonetto.

Sudate, o fochi, a preparar metalli

che sembra il brodo ristretto delle secenterie. È il Cireneo del marinismo, il capro rognoso del secolo che per alcuni versi è superiore al cinquecento. Eppure fu uno de' poeti più famosi dei suoi tempi, non solo in Italia ma in tutta Europa, e le sue rime si ristamparono molte volte e il cardinal Richelieu gli regalò una collana d'oro che valeva non so quante centinaia di ducati : era, insomma, una specie di D'Annunzio di quei tempi.

Ma non sempre poetava come tutti credono. Spesso era semplice, ed anche efficace :

Corteggiata da Paure e dagli amori

siede sul trono de la siepe ombrosa,
bella regina de' fioriti odori,

in colorita maestà la rosa.

Ricordiamo anche queste due terzine, di applicazione continua :

Già d'oro eran le spiche, al monte, al piano,
quando, per riportar le mie fatiche,
straniero mietitor non giunse invano.
Corrono il solco mio falci nemiche,
taglian la cara mèsse, e quella mano
che nulla seminò, miete le spiche.

ACIDO

Indispensabile all'Omo Salvatico.

Egli, che non ha calamaio, non manca d'una buona provvista d'acido cloridrico, nitrico, zolforico e prussico. Nemico implacabile della gente civilizzata, intinge la penna, secondo i casi, ora in questa, ora in quella boccetta, garantita dalla testa di morto, e scrive.

Non ha altre soddisfazioni.

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E questo è per lui l'unico modo d'esplicare il suo delittuoso cristianesimo, benchè sappia d'esser odiato, d'un odio cartaginese, da tutti quei lattiginosi cristiani i quali si studiano, con ogni cura, di non contristare il Diavolo.

ACKERMANN LOUISE (1813-1890)

Antipatica e stitica versaiola ribelle che qualche cretino d'italiano ha paragonato al Leopardi.

Benchè francese ebbe una spiccatissima simpatia per i tedeschi. Preferiva Berlino a Parigi. Sposò un « boche » protestante che non riuscì a fecondarla e del quale rimase vedova dopo due anni. Confessa di non esser mai stata nè bambina nè donna, di avere ignorato l'amore, e di non aver conosciuto l'infelicità.

E tuttavia nella sua Poésies philosophiques gonfia le gote e raggrinza la fronte per cantare (anch'essa !) la « doglia mondiale » e rappresentar la parte di Prometeo con le

sottane.

Le sue bestemmie pseudo-lirico-filosofiche fanno più schifo che paura.

È un'oca ripiena di rettorica che si sogna aquila e che, svegliandosi, si ritrova coi piè palmati e il becco a mestola. Barbey d'Aurevilly (pur così fine ed acuto) scambiando lo schiamazzo blasfemo di quest'anatra teutonizzata per ruggiti, la definisce « un mostro e un prodigio ».

Troppo onore.

Ed onore anche maggiore l'averle dedicato in questo libro una mezza pagina.

ACOSTA URIEL (1590-1647)

Figlio di ebrei convertiti visse come cattolico in Portogallo ma gli venne ad un tratto la nostalgia della sinagoga e ad Amsterdam rientrò nel giudaismo. Però, avvezzo forse a miglior cibo, non potè nascondere ai rabbini il suo disprezzo per le leggi cerimoniali e fu scomunicato, imprigionato e costretto a pagare un'ammenda. Dopo quindici anni ricascò ancora nella sinagoga ma per rinnovare i suoi attacchi contro le tradizioni talmudiche. Allora il collegio dei Rabbini lo punì a questo modo. Dovette montare

sopra un palco di faccia a una moltitudine di giudei e di giudee e leggere una confessione e ritrattazione delle sue eresie; poi fu spogliato fino alla cintola ed ebbe trentanove colpi di staffile; infine dovette stendersi in terra all'uscio della sinagoga e tutti gli camminarono addosso.... Dopo pochi giorni, in seguito a questa cerimonia, si tirò. un colpo di pistola nel capo. Si legga, per avere un'idea delle sue opinioni sul giudaismo, la sua autobiografia: Exemplar humanæ vitæ. Buona risposta agli Ebri che sbraitano contro l' Inquisizione!

ACQUA

È odiata e amata.
E odiata quella benedetta,

- superstizione. Quella del diluvio, perchè rammenta una esagerata (per quanto mitica) vendetta divina.

Quella del battesimo, perchè si versa sul capo dell'uomo in una età nella quale non è in grado di poter disporre liberamente del proprio pensiero.

È amata quella con la quale l' immortale e giudizioso

Pilato si lavò le mani.

Quella delle spiagge marine dove ogni estate, senza troppo oltraggio al pudore, ci si può mettere in quasi adamitica libertà.

Quella tofana (ahimè sparita) la quale era un meraviglioso veleno che non lasciava traccia, utilissimo agli intraprendenti eredi d'un parente ricco.

Quella di Montecatini, dove si va appunto « a passar l'acque », ed in generale ogni acqua purgativa che ripulisce e disinfetta i ben otto metri, scientificamente misurati, di budella, lungo i quali l'anima del Borghese s'aggira, gorgoglia, ascende e discende, finchè, con l'ultima emanazione, abbandonando la sua legittima sede, si dissolve, tenebrosamente, nel mistico nirvana del pozzo nero.

ACQUA IN BOCCA

« Senti: questo, questo è questo. Ma, oh, acqua in bocca ». Discorso che può esser fatto da una spia, da un ladro, da un diffamatore o da un cretino che s'atteggia a furbo.

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