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ALFIERI VITTORIO (1749-1803)

Del conte Vittorio nessuno legge più le tragedie e le tramelogedie a meno che non vi sia forzato dai «< vigenti programmi » come maestro o scolaro. Ma resta di lui la leggenda del « volli, volli, fortissimamente volli ». Ora il suo più erudito biografo ha scoperto e dimostrato che la sua Vita scritta non combacia spesso e volentieri colla vita vissuta e soprattutto che in lui la volontà fu debolissima. Difatti le storielle che si rammentano di lui, il legarsi al seggiolone, il tagliarsi la capelliera e altre, dimostrano ch'egli aveva bisogno d' impedimenti materiali ed esterni per astenersi o sostenersi cioè il contrario di quel che si voleva dimostrare perchè la volontà si dice forte appunto quando vince da sola.

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L'Alfieri, dopo aver vissuto per molti anni in aperto concubinato con una tedesca, vedova di un mezzo re inglese, che lo tradiva con un mezzo pittore francese, finì collo scrivere il Misogallo per vendicarsi della Francia che gli aveva sequestrato i libri e per far dimenticare che aveva cominciato la sua carriera di tragico imitando a tutto andare Racine, Crebillon e Voltaire.

ALFONSO DE LIGUORI (1669-1787)

È il santo che scandalizzava l'anticlericalismo asinesco di Guido Podrecca il quale, attualmente, sembra che scandalizzi i massoni con le sue conferenze americane in gloria e onore della Chiesa.

Prima d'esser prete fu avvocato; ma non potendo respirare nell'aule infette dei tribunali, abbandonò lo studio delle leggi umane per obbedire e consacrarsi a quelle divine di Cristo.

A trent'anni cantò messa. Poi si dette ad evangelizzare la più bassa plebe della sua Napoli finchè, più tardi, passato in Puglia, si consacrò all'apostolato delle campagne e fondò la Congregazione del SS. Redentore.

Nel 1762 Clemente XIII lo costrinse ad accettare il vescovado di S. Agata de' Goti. La sua attività evangelica, come vescovo, non fu minore a quella precedente di missionario.

Pio VII lo beatificò; Gregorio XVI lo santificò, Pio IX lo ascrisse fra i dottori della Chiesa.

Oltre che predicatore ed apostolo fu teologo e mistico. Il suo stile (pur risentendo dei difetti del tempo) ha la grazia persuasiva e commovente di S. Francesco di Sales, mentre, talvolta, nelle descrizioni della morte, assurge alla potenza espressiva d' Jacopone.

Fra le sue molte opere, quella che stabili per sempre la sua gloria ed anche gli procurò diffamazioni e dileggi, da parte di alcuni recenti ciabattini del giornalismo, è la Teologia Morale.

In essa, S. Alfonso reagisce giustamente contro il rigorismo filogiansenista di quei molti confessori che con la loro severità, spesso inopportuna e quasi eretica, gettavano la disperazione nelle anime e contrappone a quella intransigenza, la tanto fraintesa dottrina del « Probabilismo >> che non è altro, in sostanza, se non la savia e costante norma seguita, nei casi dubbi, dalla prudenza evangelica della Chiesa.

Ma ecco alcuni saggi dello stile di S. Alfonso :

IL CADAVERE.

<< Figurati di vedere un uomo il cui corpo, poco prima, è stato lasciato dall'anima. Guarda quel cadavere che ancora sta disteso sulle lenzuola; il capo gli è caduto sul petto ha i capelli scarmigliati e bagnati ancora dal sudore della morte; gli occhi incavati, le guance smunte, la lingua e le labbra nere; a tutti fa nausea ed orrore. Ecco in quale stato deve ridursi questo tuo corpo che

tanto accarezzi!

Considera ora a che dovrà ridursi dopo che sarà gittato nella sepoltura. Prima diventerà giallo, poi nero. Dopo apparirà una lanugine bianca e schifosa su tutta la carne. Di là scaturirà un marciume puzzolente che colerà per terra. In quel marciume poi si genererà una gran quantità di vermi che si nutriranno delle stesse carni putrefatte. Si aggiungeranno i topi a pascersi del tuo corpo: altri girando all'esterno, altri entrandoti in bocca, altri nelle viscere. Ecco a che si ridurrà questo tuo corpo.

E tu, per contentarlo, hai disgustato Dio!

Poi, dal capo, cadranno a pezzi le guance, le labbra, i capelli. Le costole saranno le prime a spolparsi; e dopo, le braccia e le gambe, infradiciate. I vermi, dopo aver consumato tutte le tue carni, si consumeranno fra loro. Finalmente del tuo corpo altro non resterà che un fetente scheletro il quale, col tempo, si dividerà, cadendo il capo dal busto e separandosi le ossa fra di loro. Ecco CHE COSA È L'UOMO, CONSIDERATO COME MORTALE! ».

LA PAZZIA IN CRISTO.

<«< Colui che passando dal Calvario quel giorno in cui Gesù Cristo finì la vita sulla Croce, avesse domandato chi fosse quel reo crocifisso tutto lacerato nelle proprie carni, e gli fosse stato risposto che era il Figlio di Dio, vero Dio come il Padre, che avrebbe detto se non avesse avuto la fede? Egli avrebbe detto quel che dicevano i gentili: che il credere ciò era una pazzia. Stultum visum est ut pro hominibus auctor vitae moreretur. (S. Greg. hom. in Evang.).

Se parrebbe pazzìa che un re, per amore di un verme si facesse egli verme, maggior pazzia par che sia stata l'aver voluto un Dio farsi uomo per amor dell'uomo, e morire per l'uomo.

Così parlava S. Maria Maddalena de' Pazzi, considerando l'amore immenso di questo Dio: «Gesù mio (diceva) tu sei pazzìa d'amore ».

FARSI SANTI.

<«< Chi più ama Dio si fa più santo.

Quanto più di terra vi è nel cuore, tanto meno di luogo vi trova il santo amore. Perciò i Santi hanno cercato di mortificare quanto più potevano l'amor proprio e i loro

sensi.

Per farci santi è necessario aver desiderio di farci santi, desiderio e risoluzione. Alcuni sempre desiderano ma non mai cominciano a metter mano all'opera. Di queste anime irresolute (diceva S. Teresa) non ha paura il Demonio. Invece (continuava la Santa) Dio è amico dell' anime generose.

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Il demonio cerca di farci credere che è superbia il pensare di far grandi cose per la gloria di Dio. E sarebbe, infatti superbia se noi pretendessimo di farle confidando nelle nostre forze; ma non è superbia il risolverci di farci santi, fidandoci in Dio e dicendo: Omnia possum in eo, qui me confortat. Bisogna dunque farsi animo, risolversi e cominciare. La preghiera può tutto. Quel che non possiamo noi con le nostre forze, ben lo potremo con l'aiuto di Dio, il quale ha promesso di darci quanto noi gli chiediamo: Quod cumque volueritis, petetis, et fiet vobis ».

ALGAROTTI FRANCESCO (1712-1764)

Uno de' tanti giramondi mondani del settecento italiano; amico di Voltaire, cortigiano di Federico II e di quasi tutti gli illustri e i potenti di que' tempi. Divenne celebre col Newtonianismo per le dame, nel quale, come oggi si fa con Einstein, volle spiegare l'ottica e la matematica sans larmes. Fondò a Bologna, lui si domato dai salotti e dalle corti, l'Accademia degli Indomiti. Ammalato di petto il Voltaire lo voleva con sè per fargli bere il latte delle vacche di Ferney, ma preferì rimanere in Italia benchè egli, italiano, desiderasse «con leggi inglesi, attico cielo ». Morto ebbe l'onore di avere per epigrafaio il famigerato prussiano Federico, ateo e sodomita, il quale fece incidere sulla tomba (che ora s'impolvera a Pisa) queste parole: Algarotto Ovidii aemulo, Newtoni discipulo, Fridericus rex. Oggi si direbbe mediocre volgarizzatore di passe novità forestiere.

ALGEBRA

Un fenomeno veramente consolante (dice l'avv. Pappagorgia ad alcuni ammiratori che gli fanno circolo al Caffè del Progresso, ch'è il principale caffè di Bagoghi) ci viene offerto dal fatto oramai indiscutibile che molte cose già inutili o funeste, con l'inarrestabile marcia della civilizzazione, son diventate algebra.

Prima di tutte, per esempio, la religione.

Essa è una cosa oramai che non c'è più bisogno neppur di combattere.

Il popolo che prima costituiva il suo terreno tristamente fecondo, ora non la capisce ed è contentissimo di non capirla.

Un'altra cosa poi che mi dà buone speranze per l'avvenire della democrazia (che è congiunto indissolubilmente con l'avvenire della civiltà) è il continuo cedere ed adattarsi degli ultimi re; i quali, come si vede sempre meglio, son re per modo di dire e si posson contar sulle dita. Provatevi dunque, oggi, col vento che tira, a parlare (poniamo il caso) di diritto divino

Anch'esso da moltissimi anni è diventato algebra; anzi è addirittura un rebus ed è così preistorico, che nessuno si degna più di spiegarlo neppure per mero passatempo.

Quanto poi alla teologia (mummificazione dogmatica d'una religione che sa di tanfo) io credo che incominci a diventare algebra perfino per i preti.

Niente paura dunque d'un ritorno al passato.

E se in Francia alcuni letterati snobs s'atteggiano' (come sembra) a reazionari e in Italia s' intravedono delle piccole marmotte che tentano di ripeterne i lazzi, noi ce ne freghiamo altamente :

La libertà batte il tamburo e insieme
dileguan Medio-Evo e carneval.

ALI

Gli audaci volatori d'una volta erano gli uccelli, i poeti e i santi.

Ma i primi, a forza d'esser messi arrosto, non esistono quasi più; i secondi, avendo esperimentato nel secolo dell'economia politica che « carmina non dant panem »> si procurano, giudiziosamente, con la prosa, ogni genere di companatico; e i terzi, infine, non si fanno più vedere, perchè come ben disse il più gran genio di Pescia, «< in oggi un chimico rovina un santo ».

Cosicchè d'ali, ai nostri giorni, non ci son più, per fortuna, che quelle vertiginose di Sem Benelli e l'altre, meccanico-eroiche, di quegli angeli del progresso che si chiamano aviatori.

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