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di rhum verista. Ovverosia : l'arcadia sentimentalista condita colla sciatteria della scapigliatura.

Ma quando poi, verso la fine, si arrivò al Canto dei Ciclisti si buttò via addirittura il volume. Che ora, però, riprendiamo per copiare questa gemma betteloniana e sportiva:

Non può corsier contendere
d'agile forza e snella,
non può con noi di fulgida
macchina curvi in sella,

nè de la corsa il nobile
torci supremo onor.

BETTINELLI SAVERIO (1718-1808)

Povero Bettinelli! I letterati italiani non gli posson perdonare le Lettere Virgiliane e le critiche a Dante, non tutte sciocche, e dimenticano che più tardi, da vecchio, confessò che la Divina Commedia «è la nostra Iliade unita all'Odissea ».

Eppure questo gesuita ebbe il merito di voler fare, in pieno settecento, una revisione del tradizionalismo risecchito dei pedanti e di voler rimettere la letteratura italiana nella circolazione delle correnti europee. Come poeta non val nulla, ma nelle Lettere Inglesi ci sono osservazioni sugli scrittori e i costumi nostri che hanno valore anche oggi, ed ha un posto suo nella storia dell'estetica, ed ha avuto il merito di rivendicare la grandezza del Medioevo nel suo Risorgimento d'Italia negli studi nelle arti e nei costumi dopo il Mille (1773).

Se non avesse appartenuto alla compagnia di Gesù e non avesse detto male di Dante, ben altra sarebbe la sua fama. Ma va almeno ricordato agli immemori, in contrapposto alla sua amicizia con Voltaire, l'attestato del Pindemonte il quale afferma che a Verona ricondusse la gioventù a Dio nelle chiese e al buon gusto in casa sua.

BETTINI POMPEO (1862-1896)

Non si può guardare il suo ritratto senza una stretta al cuore: Una figura malaticcia, di gobbo, con la testa

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un po' rientrata fra le scapole, e una faccia triste e macilenta, cui sovrasta un piccolo cappello a cencio, abbassato e schiacciato sulla fronte.

Era tisico, povero; faceva il correttore di bozze.

Nell'adolescenza diventò deforme e perdè la fede; più tardi sperò di trovarne una nell'utopia socialista. Ma era un poeta; e i suoi compagni dei ragionieri.

Odiava la borghesia, dubitava del socialismo, credeva di non credere in Dio.

Ammalato di corpo e d'anima, esprimeva la sua tristezza con piccole liriche nostalgiche e desolate, in cui rintocca il pensiero della morte che c'inghiotte e ci disfà. Ma questa morte totale che, pur desidera, gli dà un brivido d'orrore; e allora dalla vita, che lo martoria, non sa staccarsi :

Oh che pensiero amaro

è quello di morire!

T'amo come un avaro,

o mio corto avvenire!

L'ama perchè di qua, il suo dolore senza conforti, s' intepidisce al sole; mentre di là, sotto terra, non c'è che buio e vermi....

Ma forse.... Chi sa che i morti non vivano?
Forse è una vita opaca, di larve, e pur dolce.
L'erbe crescono altissime

a sugger, spegnendolo, il sole ;
non stormiscon le foglie
perchè regni il silenzio.

Dolci i nostri discorsi,

andando a due a due
sul prato, sarebbero, o morti.
Tu certo, padre, sei solo
e manchi di compagno.
Oh come volentieri

passeggerei con te!

Fantasie e sognerie di malato, pallidamente allunate d'una vaga spiritualità che non giunge a Dio.

Questa povera anima senza cielo e scontenta della terra, canta con la malinconia desolata d'un prigioniero in un giorno grigio di pioggia.

Ora si ricorda d'una bambina (forse un puerile amore indistinto) che faceva i balocchi con lui; e mori.

I versi hanno un ritmo singhiozzato di ballata funebre.
Quando venivi era un giorno di sole;

o se pioveva, la pioggia cantava.
Io tutto l'anno quel giorno aspettava
per infilare perline con te.

Belle perline, discioltosi il rețe,
seminavate di sprazzi il cortile;
ma tu ne avevi nel grembo altre file,
ne avevi quante la figlia di un re.
Sei morta presto, gentile villana,
e con la pasqua d'aprile che viene,
la tua memoria, cui voglio ancor bene,
torna, recando il passato con sè.

Mentre sull'erba, ch'è il tuo monumento

nel cimitero del borgo silente,

infila perle la pioggia cadente,
infilo rime, fanciulla, per te.

Rime-lacrime: lacrime del cuore, lacrime delle cose, che brillano e cadono e si disperdono, per sempre, fra gli uragani della vita

Un giorno è solo, per la campagna. Solo, Pensate a questa parola tremenda :

Vocian laggiù nei campi, stride un falco lontano lavoran gli uni, e l'altro scende dai colli a vol.

Si fa buio.... è una nube. Come ho magra la mano!
Che mi resti da vivere forse quest'anno sol?

E poco dopo:

Il sole oggi non torna. Che silenzio profondo!`
Dove vai, senza amore, dove vai gioventù?

Mori a 34 anni; e forse neppur da ultimo ritrovò la luce divina che gli s'era spenta nell'anima.

Tentò, sebbene raramente, la lirica sovversiva e la satira; ma qui la sua piccola voce, fatta per le cose tenui e per la sconsolata elegia, non gli resse.

La gloria di questo poeta povero consiste nell'aver cantato, in un tempo di secchezza scientifica e di rimbombo lirico, con accenti suoi, personali, delicatamente crepuscolari, il suo dolore, inguaribile, senza fede e senza

speranza.

Più tardi ebbe quasi un fratello in Sergio Corazzini; sebbene questi, più fortunato, non ignorasse Cristo.

BETTOLA

La chiesa attuale della povera gente, alla quale è stato detto dai signori che Dio non c'è.

BETULIA

fu salvata da una bella e valorosa donna che seppe fare l'arte del boia. Cercansi d'urgenza centomila Giuditte capaci di tagliare (non di far perdere) la testa ai centomila assediatori della Città d' Iddio.

BEVENDO IN FRESCO

E BESTEMMIANDO CRISTO

Nota chiusa d'un sonetto, già tristamente celebre, del già famigerato Stecchetti, morto tisico d'anima e di corpo, risorto bagascia con le sottane pillaccherose d'Argia Sbolenfi, camuffato sacrilegamente da Pio X sotto il pseudonimo di Bepi, e sempre lo stesso Artusi letterario, ubriaco, empio, demagogo, bibliotecario e porco, plagiario di De Musset, traditore di Baudelaire, involgaritore di Carducci, e conosciuto allo Stato Civile col nome d'Olindo Guerrini.

La generazione miserabile che lo portò alle stelle e che in esso aveva trovato il suo poeta (cioè a dire, il poeta del putridume nutriente dell'antipoesia esilarante) sapeva a memoria il sonetto e giunta alla chiusa vi si spappolava dalla gioia.

E infatti, qual piacere più grande, per degli animali appena appena alfabeti, ma consci della loro superiorità

economica sul povero galileo crocifisso, se non quello di maltrattarlo in versi, sacrificando a Bacco ed inneggiando a Venere, ubriachi fradici, nei pomeriggi domenicali, sotto il pergolato d'un'osteria ?

:

BHAGAVAD-GITA

Forma il sesto canto del Mahabharata e vuol dire Canto Divino è un dialogo tra Krisna e Arjuna, prima di una grande battaglia. Questa esposizione poetica ed eloquente del panteismo e della metempsicosi manda in brodo di giuggiole gli occidentali che rifuggono, per stanchezza, dall'eterno dualismo del pensiero greco e della rivelazione cristiana, e in generale tutti i teosofisti che sperano, se son poveri, di rinascer ricchi, e se son vecchi di tornar giovani, Ed ecco com'è descritto nel Bhagavad Gita questo Dio supremo ed unico, che i nostri indianomani vorrebbero sostituire al Dio cristiano, troppo terrestre per loro: «Bocche senza numero e senza numero occhi, e infiniti aspetti meravigliosi, innumerevoli ornamenti divini, armi innumerevoli brandite: divine vesti e divine ghirlande, divini unguenti e profumi divini: tutto meraviglie apparve il Nume, infinito, col volto riguardante da ogni parte ».

Questo mostro, che riunisce in sè Cibele, Briareo ed Argo, è il Dio che la sontuosa fantasia degli Indiani fornisce agli europei degenerati, stanchi di un Dio povero e adornato solamente di piaghe.

BIADA

L'unico pasto che l'Omo Salvatico (se domani diventasse imperatore) farebbe moderatamente assegnare a tutti quei nobili imborghesiti che hanno abolito la pariglia per metter su l'automobile.

BIANCO DA SIENA

Povero cardatore di lana vissuto nella seconda metà del secolo XIV.

Nacque in Valdarno, abitò a Siena, peregrinò per l' Italia, morì a Venezia.

Poeta mistico: ora candido delicato e femineo; ora

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