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sero. Ma lasciamo andare; e consideriamolo sotto un altro aspetto esso, dice Veuillot, «m' impedisce il desiderio e mi lascia l' impazienza. Mi dispiace d'essere spinto a quel modo, d'essere agli ordini del fischio, di non vedere che servitù da per tutto, di sentir me stesso sotto il giogo.

« La ferrovia è l'espressione insolente del disprezzo della persona. Nulla raffigura meglio la democrazia. Io non son più un uomo, sono un oggetto; non viaggio più; sono spedito.

« Ai due lati della via si drizzano i pali del telegrafo. Voi dite che lassù i nostri pensieri « viaggiano con la rapidità della folgore ». Ma io vi dico che lassù non viaggiano che la Borsa e la Polizia. La libertà è impiccata a quei pali ». Così questo glorioso precursore de l'Omo Salvatico.

BINDOLO

L'Omo Salvatico, per chi non lo sapesse, è un ciuco anzi due ciuchi che girano il bindolo di questo dizionario colla speranza di rinfrescare qualche anima arida e di far crescere, con meno stento, la verdura della verità che ricordano, brutti superbiosi, che anche Sansone fu legato a un bindolo e che l'asino fu la cavalcatura di Cristo.

BINI CARLO (1806-1842)

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Scrisse poco, soffrì assai, non fece rumore, morì presto. Impataccato, anch'egli, come portavano i tempi, d'idee liberali e repubblicane, fu carbonaro e amico di Mazzini e del Guerrazzi.

Questi due celebri palloni, trasportati dal vento della politica e della retorica, giunsero, viventi, alla gloria.

Carlo Bini, rimase in basso; seppellito dalla nomea di quelli, solo con la propria originalità e la propria tristezza. Oggi pochissimi lo conoscono; e qualcuno lo classifica alla svelta tra quei soliti frutti acerbi che la morte, improvvisamente, con una ventata butta giù.

Povero Bini! Eppure quel poco (non effimero) che resta di lui (il Manoscritto d' un prigioniero, alcuni pensieri e qualche lettera) lo pone immensamente più in alto

di molte celebri vessiche che pur figurano nelle storie letterarie, dove per lui non c'è posto.

Ma ecco come questo artista, questo poeta, che dovè fare da scritturale nell'azienda paterna, parla di sè:

«Non sono nè poeta nè prosatore. Scrivo per capriccio, per far diventar nero un foglio bianco. Scrivo perchè non ho da ciarlare con nessuno; chè se io potessi, anche con una vecchia (era in carcere, nel forte della Stella a Portoferraio) anche con un bambino, non pensate, non toccherei la penna. Andate a leggere, se vi riesce (allude ad alcuni articoli letterari, infatti, mediocri) quello che ho scritto quando non ero in prigione! Certo, potrei parlar con me stesso, ma non voglio avvezzarmici, perchè, uscendo di prigione con questo vizio e portandolo con me in società, mi potrebbero pigliar per matto. Assai, in fatto di giudizio, non godo di un credito troppo esteso!».

Com'è vivo, fresco, moderno, attuale !

Dice di non essere un prosatore e invece (mentre i suoi contemporanei son diventati quasi illeggibili) egli, ora triste, ora arguto, ora scettico, ora credente, e sempre buono, alto, nobile, è un nostro compagno, un nostro amico, una di quelle rare creature che bisogna amare.

Qualche periodo più giù delle parole trascritte egli dice: « La vita, a voler che sia bella, a voler che sia gaia, a voler che sia vita, dev'essere un arcobaleno, una tavolozza con tutti i colori, un sabbato dove ballano tutte le streghe. Il sollazzo e la noia, il pianto e il riso, la ragione e il delirio, tutti devono avere un biglietto per questo festino. Che serve far della vita una riga diritta diritta, lunga lunga, sottile sottile, noiosa noiosa e color della nebbia ? È un volersi reggere sopra un piede solo...... ».

Ecco la differenza sostanziale fra lui e Mazzini. Carlo Bini è un umorista, un artista, uno spirito libero che, sebbene sfiorato dai pregiudizi del tempo, conserva la propria personalità che non può fossilizzarsi nelle formule e negli schemi. Mazzini invece (noioso quacquero democratico) ci viene incontro con in bocca il solito sermone politico-pseudoreligioso, verniciato d'entusiasmo e rassegato nel luogo

comune.

In un altro punto dei suoi scritti (raccolti dallo stesso Mazzini e preceduti da una prefazione di questi, nella quale l'amico è sfigurato, al solito, in una prosa diluita, sentimentale e piagnucolosa) Carlo Bini ci dà, in questo modo, il proprio ritratto spirituale:

«Ecco l'anima mia: un anelito eterno all'amore puro, santo, ideale; un cuore nato a sentire quanto di bello e di armonia Dio sparse nell'universo; un intelletto severamente educato a comprendere il vero; una coscienza dignitosa e superba di sentirsi incontaminata; e tutto questo messo a contrasto con una società misera, corrotta, incredula e da me conosciuta nelle sue più riposte viscere. Questo è il segreto del mio dolore ».

E ancora:

« La scienza, le più volte, è una fastosa impostura. Io ho vegliato lunghe notti sui volumi della sapienza antica e moderna, e li ho richiusi sospirando; il velo del mistero era più fitto di prima. Oh! questo mio gran talento mi fa pietà. Forse volendo avrei potuto scrivere dei libri; ma questo a che pro? Il mio ingegno, irritandosi nelle condizioni presenti, si sarebbe scaldato a quel grado di calore che genera il fulmine....

Ma il mondo non è contristato abbastanza ? ».

È l'eterna tragedia di chi cerca e non trova; di chi vorrebbe amare ed è costretto a maledire; di chi sogna la magnificenza del paradiso e ricade, ad ogni risveglio, nell' inferno.

Noi comprendiamo tutto ciò; noi amiamo queste povere anime che desiderano la luce, che la intravedono, che ne sono illuminate a lampi, e non la possiedono mai.

Carlo Bini (in parte superiore ai suoi tempi, in parte figlio dei suoi tempi) non ebbe la certezza della fede, o, almeno, non l'ebbe intera. Da ciò un amaro sorriso prodotto dal pianto interno che non voleva manifestarsi dinanzi alla curiosità crudele degli uomini.

In una lettera scritta il 1o agosto del 1830, dice in tono semiserio a un amico: «io tengo sempre aperto l'uscio di casa per vedere se il vento, un giorno o l'altro, mi ci porti la Verità.... ».

Com'è triste! Eppure della Verità, che non è che una, che non è che Cristo e che egli forse non vide, egli era degno per la sua rettitudine e per il vivo desiderio che n'ebbe.

Morì a trentasei anni; lasciò un centinaio di pagine che non muoiono; poco come quantità, molto come qualità; perchè dentro umanamente vi piange, ride, sogna, spera e dispera un'anima che, certo, nell'ora del gran viaggio non fu abbandonata dal Salvatore del mondo.

BINOCOLO

Utile al teatro, in mano di qualche « Democritus ridens » per osservare gli attori e le attrici di quell'altra più ridicola e stomachevole commedia che si svolge al di fuori del palcoscenico.

ΒΙΝΟΜΙ

Nell'antichità:

Castore e Polluce,

Oreste e Pilade.

Da ciò tragedie e favole.
Nei tempi moderni :

Mazzini e Garibaldi,

Vittorio Emanuele e Cavour.

Da questi: la «< terza Italia ».
Ma oggi:

Giovanni Papini e Domenico Giuliotti.

Ed ecco il Dizionario dell' Omo Salvatico, indispensabile a tutti coloro che voglion buttarsi alla macchia.

BIOLOGIA

I biologi sono quegli scienziati che ammazzano gli esseri viventi e quando hanno dinanzi dei tessuti morti cercano il segreto della vita. In seguito a ciò hanno sentenziato: 1o che i viventi son venuti dalla natura morta per naturale evoluzione; 20 che l'anima, o principio vitale, è un invenzione dei metafisici derivata dalla superstizione dei selvaggi.

BJORNSON BJORNSTJERNE (1832-1910)

Una delle due colonne d' Ercole della genialità norvegese. Fu novelliere, romanziere, poeta lirico ed epico, giornalista, critico drammatico, tragediografo, commediografo, uomo politico, direttore di teatro, oratore, laureato di Nobel ecc. ecc. Anche in Italia è celebre il suo dramma Over Ævne (Al di là del potere nostro) che potrebbe essere il titolo complessivo delle sue opere complete.

BIPEDE (IMPLUME)

Cosi Platone aveva definito l'uomo.

Ma Diogene, spennato un gallo e nascostolo sotto il mantello, entrato nell'Accademia, lo buttò in mezzo alla scuola e disse: « Ecco l'uomo di Platone ».

E allora il filosofo dovè correggere: «Bipede implume con l'unghie larghe ».

Sciocchezze!

Ecco la definizione dell'uomo moderno trovata dall'Omo Salvatico:

« Bipede implume; ma quanto più abbellito dal sarto, tanto più proclive a diventar quadrupede ».

Al che il savio Diogene non avrebbe nulla da opporre.

BIRRA

in linguaggio poetico « cervogia », venne di moda dopo la vittoria tedesca del 1870 ma sèguita a esser fabbricata e bevuta in Italia anche dopo la sconfitta tedesca del 1918. Finchè il nazionalismo italiano non avrà sostituito dappertutto, anche nei caffè, il buon vino nostrale a quella specie di piscio ghiacciato, saranno vani, irriti e nulli tutti i libri di Enrico Corradini, i discorsi di Luigi Federzoni e gli articoli di Francesco Coppola.

BIS

Parola latina.

Perciò tanto usata in Italia, nazione latina per eccellenza, in cospetto ai tenori d'ogni genere, che sono indiscutibilmente i suoi più apprezzati grand'uomini.

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