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Non vi giunse; ed io cerco appunto il loco Per vederlo passar quando v'ascenda.

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I'l'ho: se amico è Cesare a sè stesso

Si che orecchio mi dia, vo' scongiurarlo
Che di sè cura egli abbia.

PORZIA

Alcun periglio

L'INDOVINO

Che il minacci sai tu?

Non so che a lui

Debba male accader; temo che il possa.
Salute a te; la via qui troppo è angusta:
La folla che si stipa alle calcagne
Di Cesare, pretori e senatori,

E volgo supplicante, affogar ponno
Un vecchierello nella folla. Or voglio
Guadagnar loco più sicuro e aperto,
Ov'io parli al gran Cesare, al momento
Ch'egli qui dee passar.

(parte)

PORZIA

Ritrarmi è forza.

Oime! che debil cosa è il cor di donna!
O Bruto, deh! sorrida il cielo all'alta
Impresa tua! - Forse m'intese il servo...
Bruto a Cesare porge una domanda
Ch'ei non accoglie... Lassa! io manco... Ah! corri
O Lucio, e mi ricorda al tuo signore.
Digli che lieta io son; poi torna e reca
Di quanto ei t'avrà detto ogni parola.

(partono)

FINE DELL'ATTO SECONDO.

ATTO TERZO

SCENA I.

ROMA.

Il Campidoglio. Il Senato è in sessione.

Il POPOLO in folla per la via che conduce al Campidoglio; ed in mezzo alla moltitudine ARTEMIDORO e l'INDOVINO.

-Squillo di trombe

Entrano CESARE, BRUTO, CASSIO, CASCA, DECIO, METELLO, TREBONIO, CINNA, ANTONIO, LEPIDO, POPILIO, PUBLIO e Séguito.

CESARE (vedendo l'Indovino)

G'Idi di Marzo son venuti.

L' INDOVINO

Ma passati non son.

È

vero;

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