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AGRIPPINA (GIULIA)

Uno dei fiori, con Messalina, dell'eterno femminino romano. Da C. D. Enobarbo generò Nerone; lasciò il primo marito per sposare un Crispo, ricco, che fece ammazzare; poi si fece moglie dello zio Claudio, imperatore, al quale fece adottare Neroncino, perchè succedesse al trono invece di Germanico. Quando ebbe ottenuto quel che voleva avvelenò Claudio e Nerone regnò, ma siccome voleva far troppo l'impacciosa col figliolo, al quale aveva procurato il trono coi delitti, il riconoscente Nerone le fece fare una passeggiata in una barca preparata in modo che doveva affogare. E siccome la vecchia delinquente riuscì a salvarsi il suo degno figliolo, persa la pazienza, la fece ammazzar dai soldati.

AHAS VERO

Uno de' nomi dell' Ebreo Errante.

Per tutti quelli a cui premon le sorti di questo simpatico globe trotter possiamo dare una buona notizia. Ahasvero s'è fermato ed ha preso domicilio, anzi due domicili: una casa a Londra e una a Nuova York e tutti i suoi viaggi si riducono ormai a traversare di tanto in tanto l'Oceano in un transatlantico di lusso.

« AH NON PER QUESTO ! »

Ma sì, caro ed egregio professore, proprio per questo.
Non c'è bisogno di cascar dalle nuvole.

Quelli erano i padri, questi sono i figli; e legittimi ; non c'è, come suol dirsi, porcherie !

Ciò che i padri, forse senza saperlo, avevano in corpo transfusero nei figli, e questi riceverono, svilupparono e perfezionarono.

Se non si voleva una tal razza di perfezione bisognava non trasmettere loro certe idee che sebbene sembrassero palloncini variopinti, belli a vedersi, non erano in realtà se non bubboni, pieni di marcia.

Linguaggio oscuro? Ghiribizzi dell'Omo Salvatico; al quale certe volte piace di parlare così!

AHURA MAZDA

il «signore sapiente », il Dio buono degli Irani, il Dio di Zarathustra, il vincitore di Auramainyu (Arimane). Di sè stesso dice nell'Avesta: «Io mi chiamo colui che molto vede, io mi chiamo colui che meglio vede, io mi chiamo colui che vede lontano, io mi chiamo colui che meglio vede lontano, io mi chiamo colui che spia.... io mi chiamo colui che conosce, io mi chiamo colui che meglio conosce.... io mi chiamo colui che non inganna, io mi chiamo colui ch'è al sicuro dell' inganno.... » (Yast, I, 12-14).

Il Dio di Abramo e di Mosè disse soltanto: «Io sono Colui che sono ». Là parlava un inago prolisso - qua parla un Dio.

Ma rispettiamo i morti: ormai Ahura Mazda non è ricordato che dagli ottantamila parsi dell' India e «< Colui che è» vien pregato, oggi, da 500 milioni di uomini.

AJA

Il luogo più sterile e infecondo del podere, ma dove son portate e vagliate le ricchezze dei campi.

-Capitale dell'Olanda e sede di quel Tribunale Internazionale, sterile più di un'aia, e dove si portano tutte quelle liti che son troppo magre e irrilevanti perchè convenga risolverle eroicamente colla legge del cannone.

AIACE

Soldataccio feroce dell'antica Ellade, conosciuto volgarmente col soprannome di «furente ». Si racconta che Minerva lo fece impazzire e che ammazzò una mandra di bovi credendo che fossero nemici. Le prodezze di questo bruto furon cantate da Omero e da Sofocle e fanno parte anche oggi dei libri di testo delle scuole medie e superiori del regno, dalle quali escono, infatti, moltissimi che Minerva, per vendicarsi dell'abbandono in cui la lasciano, rende simili a Aiace.

AIOLA

a

L'«aiola che ci fa tanto feroci » è rimpiccolita forza di treni espressi e di vapori rapidi e tanto più

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rimpiccolisce tanto più si moltiplica la ferocia dei suoi abitatori, ciascun de' quali, alla fine, vorrebbe essere il solo bruco a rodere l'erbe di questo insanguinato patrimonio di Caino.

AITA!

Esclamazione celebre della «< celebre cuccia della grazie alunna», nel più celebre «Giorno» del celeberrimo abate. Parini.

Troppe celebrità, sebbene oramai quasi rassegate, nelle storie letterarie che accolgono ampiamente soltanto i letterati celebri. Contro molti dei quali sarebbe il caso purtroppo di gridare aita, con più disperati guaiti della « vergine cuccia ».

ALCESTE

Eroe del Misantropo di Molière che piace, a dispetto di certe sue contraddizioni e debolezze, all' Omo Salvatico. Non foss'altro per questi versi:

Têtebleu! ce me sont de mortelles blessures,
De voir qu'avec le vice on garde des mesures;
Et parfois il me prend des mouvements soudains
De fuir dans un désert l'approche des humains.

Anche senza leggere, però, la commedia di Molière si sa che tutti i Misantropi, come Alceste, son quelli che amano o hanno amato troppo i loro simili.

ALADINO

Proprietario della meravigliosa lampada che, strofinata, fa apparire un gigante pronto a tutte l'obbedienze. Codesta lampada, sogno e desiderio di tutti gli accidiosi ingordi cioè del genere umano meno dodici fu barattata con una làmpada nuova ma che non aveva il potere dell'altra. E a questo proposito si rammenta ai moderni che Aladino vuol dire, in arabo, Gloria della Fede, e che i nostri nonni, padri e contemporanei i quali barattarono la vecchia Fede, che pareva vile e polverosa, colla nuova e luccicante Scienza fecero un cambio che somiglia assai a quello che fece l' ignaro

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servitore di Aladiño. La Fede è una lampada che basta tenerla accesa per avere ai nostri ordini Qualcuno più forte assai di un gigante: e la Scienza, con tutte le sue conquiste, è, come il Diavolo, null'altro che una simia dei. Non dà e non può dare quel che desideriamo di più: nè la pace al cuore, nè la certezza alla mente nè l'immortalità e la beatitudine dopo la prima vita.

ALARICO

Re dei Visigoti, famoso per avere due volte assediato e
finalmente saccheggiata e decimata Roma (410). Per quanto
barbaro non mancava di sarcastica prontezza. Agli amba-
sciatori del Senato che parlavano della immensa popola-
zione di Roma che avrebbe resistito alle sue armi, rispose:
Più folto è il fieno e più facilmente si sega.
Chiese, per allontanarsi, tutto l'oro, tutti gli oggetti pre-
ziosi e tutti gli schiavi ch'erano in Roma.

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E a noi che intendi lasciare? chiesero gli ambasciatori.
La vita, rispose il re.

L'anno dopo non lasciò loro nemmen quella: aveva dato ordine di rispettare la vita dei cittadini che non si difendevano ma i 40.000 schiavi d'origine barbara che contava la città, d'accordo coi Goti e cogli Unni, massacrarono gli antichi padroni del mondo e le vie e le case di Roma diventarono in pochi giorni carnai. Un solo ordine di Alarico fu rispettato: quello di non toccare le chiese degli apostoli Pietro e Paolo.

ALBA

Pochissimi sanno ancora che esiste, perchè moltissimi vanno a letto lodevolmente poco prima che spunti.

Essa era cantata una volta, da quegli antichi poeti oleografici che la chiamavano «Aurora dalle rosee dita »; ma i terribili poeti attuali delle parole in libertà, abbandonate simili fregnacce, cantan fra l'altro i vari voltaggi delle lampade ad arco adibite a surrogare il sole durante la notte, la quale è il giorno veramente adatto ai bipedi implumi dei nostri felicissimi giorni.

Esiste, però ancora «l'alba della gloria »; ma anch'essa,

uniformandosi ai tempi essenzialmente rapidi e dinamici, è in uno stesso istante alba e tramonto; e ciò è giusto, perchè tutte l'albe della gloria non restino oscurate dalla gloria che oltrepassa l'alba.

ALBANESE ENRICO (1831-1889)

Medico e garibaldino, ammazzò doppiamente da buon democratico, il suo prossimo; ma ebbe due meriti non certo indifferenti, pei quali, sebbene ahimè! quasi in incognito, è passato anch'egli alla storia:

Quello d'aver estratta ad Aspromonte « la palla infame » che colpì «nel tallone d'Achille » l'« Eroe dei due Mondi », e quello d'aver assistito, come sacerdote laico-scientifico, il Duce morente, a Caprera.

Non sappiamo se troneggi anch'egli, artisticamente mineralizzato, in qualche piazza d'Italia; ma ci sembra, nel caso contrario, che si debba «colmare senza indugio una si deplorevole lacuna »>.

ALBANY (CONTESSA)

Grossa e grossolana tedesca che tradì il marito vecchio e inglese con Alfieri poeta italiano, poi tradì l'Alfieri con Fabre pittore francese, e tradì, finalmente, la posterità che la crede ancora una delle tante Laure venute in terra a grattar la pancia dei poeti cicale.

ALBATRO

Souvent, pour s'amuser, les hommes d'équipage
prennent des albatros, vastes oiseaux des mers
qui suivent, indolents compagnons de voyage,
le navire glissant sur les gouffres amers.

A peine les ont-ils déposés sur les planches,
que ces rois de l'azur, maladroits et honteux,
laissent piteusement leurs grandes ailes blanches
comme des avirons traîner à coté d'eux.

Ce voyageur ailé, comme il est gauche et veule!
Lui, naguère si beau, qu'il est comique et laid!
L'un agace son bec avec un brûle-gueule,
l'autre mime, en boitant, l'infirme qui volait!

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