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Sanzio. Calmatevi, o signore.

Giov. Ma come andò questa faccenda?

Sanzio. Fu in questa guisa, o signore. Io sono talvolta di labil memoria; ma voi vi ricorderete perfettamente che in Fiandra un certo pittore volle per forza effigiarmi, e mi pinse con una faccia strana ed indiavolata, che per brutto che sia il mio volto, valea meglio di quello sgorbio. Poscia l'infante ne diè due passaporti per la Spagna... Giov. E giungemmo a Burgos, paese ov'entrambi siam nati, e dove non riconoscevamo più i nostri antichi amici. Sanzio. Voi, non ben securo pur anco di vostra disavventura, sendo riuscite vane le vostre speranze, più non trovaste vostra sorella, e vostro fratello il ritrovaste morto. Non è d'uopo qui rimembrare acerbo dolore e grave troppo all'onor vostro, in parlando di colui che vi sedusse la germana e diè morte a vostro fratello.

Giov. Ah non posso sovvenirmi di tal fatto senza sentirne vivo cordoglio! O fratello mio! O mio Diego! Malnata donn'Anna! Ma, se non sei mio nemico, perchè ricordarmi un'onta che non è ancora vendicata? Prosegui, Sanzio. Sanzio. Proseguo. Voi quindi per lettere di complimento traltaste il vostro matrimonio in Madrid con donna Ines, che suppongo essere gentildonna di garbo, ed onorata e saggia. Ella v'inviò il suo ritratto.

Giov. Ed io le ho inviato il mio.

Sanzio. Qui è d'uopo ch'io prosegua il racconto.
Giov. Non avvi cosa d'importanza.

Sanzio. Anzi or viene il buono. Torno al ritratto. Voi non obliate, o signore, che quella notte che lo inviaste avete incaricato me di chiudere il pacco, e ciò perchè...

Giov. Finisci. Ciò è vero, un amico mi chiamò mentre io era intento a chiuderlo.

Sanzio. Ebbene! M'è venuto il ruzzo in quel momento là di vedere il vostro ed il mio ritratto per farne il paragone. Vedutili entrambi di buon lavoro, e scorgendovi molta delicatezza nelle tinte, con molta cura li ravvolsi tuttadue entro a due fogli di carta, e poi...

Giov. Dimmi?...

Sanzio. Posi il mio entro al vostro piego, ed il vostro nella mia tasca.

Giov. Io t'ascolto e nol credo.

Sanzio. Ma ciò non m'importa.

VOL. VI.

Teatro spagnuolo.

21

Giov. E il consegnasti dadovvero alla staffetta?

Sanzio. Signor no; al corriere.

Giov. Ma che cosa dirà donna Ines in mirando la tua faccia? Sanzio. Non vi turbate. Dirà che tutti gli uomini non ponno avere un bel volto.

Giou. Ma che dirà della tua statura, della tua persona, dimmi? Sanzio. Dio me l'ha fatta così, e tale quale la voglio mo

strare.

Giov. Ma che vale ora l'inganno? Siam giunti omai, e l'errore verrà tosto chiarito.

Sanzio. Ora pensateci voi. Io volea farvene avvertito.

Giov. Credo che queste siano le monache di Calatrava. E per qual modo giungeremo noi a sapere quale di queste sia la casa di donna Ines?

Sanzio. Colla vostra savia prudenza voi dovete chiedere conto, non di lei, ma di suo padre. Donna conosciuta è donna mal

secura.

Giov. Ei s'appella don Fernando de Roxas.
Sanzio. Voglio andarne in traccia.
Giov. E a chi vuoi domandarlo?
Sanzio. Qualcheduno s'avvicina.

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Bern. Non solo io vivo in continuo timore, ma non poca cura mi dà oltreciò il mio padrone coll'uscire cotanto tardi e coll'entrare così per tempo. Sono le dodici suonate. Le puşterle della contrada sono chiuse. Più cerco e meno trovo. Il mio padrone, cieco amatore di donna Ines, fenice delle belle, si strugge ai raggi di sua bellezza. Ma Ines, essendogli cugina e don Fernando zio, i temerarii suoi discorsi avrà preso in sospetto. Io debbo frattanto attendere qui finchè l'aurora, cinta dei raggi dell'astro maggiore, venga ad annunziare il suo arrivo.

Giov. Va, interrogalo.

Bern. Qui deggio aspettare.

Sanzio. Ditemi, o gentiluomo, ove dimora il cavaliere don Fernando de Roxas, se pur siete pratico di questa contrada. Bern. In questa casa medesima.

Sanzio. Abbia la bontà, vossignoria, di dirmi a qual piano. Bern. Ei l'occupa tutta intera.

Sanzio. Il cielo vi conservi mill'anni, lustro più lustro meno. (accostandosi a D. Giov.) Signore, abbiamo trovata la donna vostra; ma ell'è tanto vicina, che saria stato un po' difficile lo smarrirla.

Bern. (Non vorrei aver commesso uno sbaglio accennando la casa; poichè standovi dentro il mio padrone, non sarà lieve imbarazzo per lui l'uscirne).

Sanzio. S'apprestino le nozze.

Giov. Ho già udito. Orsù, appella.
Sanzio. Or ora chiamo.

Bern. Uditemi, cavaliere.

Sanzio. Cavaliere? Sono di basso lignaggio. Ebbene, che cosa volete?

Bern. Badate che vi sono molti malati nella contrada, ch'è ora tarda, e fra poco spunta l'alba.

Sanzio. Noi siamo nati in Norvegia, perciò traffichiamo di notte.

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Sanzio. Non abbiamo mai un istante di tempo.

Bern. Ma perchè, in grazia?

Sanzio Perchè i soldati han molta fretta.

Bern. Io non intendo.

Sanzio. Ma Dio m'intende.

Bern. Avete cenato?

Sanzio. Io ho cenato. E voi, vostro padre, il vostr'avolo, e lo spirito vostro sono tutti quanti ubbriachi.

Bern. Tu mi sembri un bravaccio. Or bene ascoltami.
Sanzio. Di' pure; t'ascolto.

Bern. Se vuoi contendere meco, t'aspetto qui vicino, accanto al convento dei Padri del Recoleto.

Sanzio. Furfante lo sono Sanzio il prode, e perciò non mi batto mai accanto ai Padri di Recoleto, ma sibbene accanto ai diavoli.

Bern. (In tal guisa penso allontanarlo dalla contrada. lo mi schivo da' fatti suoi, e un'altra volta dirò d'aspettarlo al Prado) (parte).

SCENA III.

Don GIOVANNI e SANZIO.

Sanzio. Se m'aspetta, la signoria vostra si stancherà. Per San Paolo Lo debbo ammazzarel

Giov. Sanzio, ascolta, osserva.

Sanzio. Osservo.

Giov. Entriamo a veder Ines, e quando usciremo, tu lo dei

cercare.

Sanzio. Dite bene. Ehi, di questa casa! Ho veduto aprire una porticina.

Giov. Rispondono ?

Sanzio. Non v'è luwe.

SCENA IV.

Don LOPE che scende dal balcone, e detti.

Giov. Traveggo? Viva Iddio! Un uomo discende da quel balcone !

Sanzio. Lodo la sua agilità.

Lope. Chi va per la contrada? Non sei tu, Bernardo?
Giov. Non è Bernardo. E voi chi siete?

Lope. (Se rimango, stommi in un grave pericolo, se men vado mostro d'essere villano e codardo. Quest'è il mezzo migliore per aprirmi il passo se mel contendono) (snuda la spada).

Giov. Dunque mano all'armi. Io so mostrare i denti al valore (snuda la sua e si battono).

Lope (difendendosi e parlando tra se mentre indietreggia sotto ai colpi dell'avversario per guadagnare un'uscita), L'oscu rità della notte e l'importanza del caso, la tema che don Fernando esca udendo il cozzo de' nostri ferri, tutto ciò mi obbliga alla fuga, a dispetto dell'onore. Ecco ho già raggiunto l'angolo della contrada; è meglio ch'io mi sottragga da qui per non compromettere la mia dama (fugge).

SCENA V.

Don GIOVANNI e SANZIO.

Giov. Di qui non passerete senza dirmi il vostro nome! Sanzio. Diavolo! Il mio padrone si batte contro di me! ¡avvi cinandosi ei pure a don Lope, s'incontra col padrone, intanto che l'altro sen fugge).

Giov. Ditemi, chi siete?
Sanzio. Sanzio sono.

Giov. Che dite?

Sanzio. Che cosa dico? Se non parlate forte vi uccido.
Giov. Ma ove se n'è ito dunque ?

Sanzio. Non lo vedete?

Giov. Quegli ch'è disceso...

Sanzio. È chiaro che colui che ha fatto un si bel salto, saprà

fare anco una bella trottata.

Giov. Inseguiamolo!

Sanzio. Avete le poste ?

Giov. Ei se n'andò.

Sanzio. Verbum caro factum est! Oh quante cose sono accadute in un istante!

Giov. Ma non ti sembra che sia un codardo colui ch'è disceso? Sanzio. Io penso che nessuno sia gallina. Quant'a me tutti quanti son galli.

Giov. Se hai veduto tuttociò ch'è accaduto, dimmi or tu ciò che dobbiamo fare.

Sanzio. Favelliamo pure. Ora aggiorna, e le nostre idee saran chiare.

Giov. Io sono un povero gentiluomo giunto appena di Fiandra, ove ho servito più di quattordici anni il mio re. Don Fernando mi propone sua figlia. Ell'è di Madrid, ed io di Burgos; è bella, eppure mi prega. Ell'è ricca, ed io sono povero... E se or mi pigliasseró!...

Sanzio. Aristotele accanto a voi sembreria un fanciulletto. Giov. Giungo a Madrid contento, e appena giunto trovo un servo alla porta (imperocchè io penso ch'altro ei non fosse se non il servo di colui che stavasi dentro), il quale tenta di allontanarci dalla contrada, e per farne andare via di là finge di sfidarci...

Sanzio. Male!

Giov. Quand'ecco alle due dopo mezzanottte apparir in sulla finestra degli appartamenti d'Ines un uomo, il quale d'un salto balza in istrada, snuda la spada, ne investe ambidue gagliardamente, e per non essere riconosciuto, sen fugge a

tutta corsa.

Sanzio. Male!

Giov. Sendo ora gl'indizii cotanto chiari, dovrò io sposare donna Ines?

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Giov. Ragioniamo. Ah sì! Ora ho trovato un mezzo estremo. Sanzio. Udiamolo.

Giov. Voglio avverare io stesso i miei gelosi sospetti. Può darsi che quest'uomo non sia entrato colà per Ines. Mentre

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